giovedì 12 dicembre 2013

La foresta fossile (2a parte)

Cliccate sulla copertina per visionare introduzione e i capitoli precedenti de Le Ali dei due Mondi


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LA FORESTA FOSSILE (2a parte)






La felicità: spesso creature di ogni mondo si chiedono in cosa consiste. Per me era trovarmi in vita ancora con lei, ancora una volta. Ancora, dopo aver sperimentato una lenta agonia e la morte. L’aver vissuto quel declino ed il suo epilogo mi aveva chiarito, semmai ce ne fosse stato bisogno, il senso di una vita. Avevo ascoltato le sue parole al mio “risveglio”: Quanto tempo da recuperare! Ora, forse, avevamo una possibilità di viverci, di confrontarci di comprendere il significato della nostra essenza, del nostro trovarsi. Così ha detto il Sommo: “vi siete trovati”.
Non ero più il suo Osservatore, mi muovevo tra i resti di quelle conifere terrestri come un suo pari e questo non mi dispiaceva affatto. Ero libero dai ruoli: più nessuna subordinazione, finalmente solo e semplicemente io e lei e nient’altro. Le nostre anime si intrecciavano in terra come in cielo: lo facevano come sempre, forse come prima del nostro primo incontro a Primordia, quando capii che sarebbe stata nel mio destino.
Il pugnale: Il Sommo ne aveva fatto riferimento come compito primario da anteporre alla ricerca del Cerchio Celtico: avremmo capito poi la sua funzione. Ed il portale nel Cerchio. Nel mio permanere in quelle terre avevo sentito parlare di un antico cerchio di pietra sulla sommità di un monte: l’area era considerata magica.
Il Sommo, prima di congedarci, ci aveva informato sulla necessità di varcarlo al momento giusto dell’anno: si trattava della notte di Luna piena precedente a quella del nostro “prelievo” dalla luce, quella dove, in quel momento, un altro me correva con dei lupi al seguito in quelle stesse aree.
Mi venne in mente di aver visto un graffito celtico nell’architrave di un’abitazione della zona: un grande cerchio rubava la scena su di uno sfondo stellato, dove compariva il Grande Carro insieme ad un uomo alla sua sinistra. D’improvviso mi fu chiaro che era stata tracciata la mappa stellare della notte in cui il varco era aperto. Capita di guardare senza i giusti strumenti per interpretare quel che si vede.
Lasciai che fosse lei a prendere l’iniziativa della caccia al pugnale: la sua mente era proiettata, come sempre, alla missione affidataci con la giusta efficienza. Eppure ci sarebbe stato un momento in cui, per proseguire nel nostro cammino, avremmo dovuto abbandonare quella fredda razionalità d’azione, per dare spazio alla parte più vera, interiore ed intima di noi. Mi domandavo se fosse pronta, se volesse condividere con me questo al di là delle parole che aveva pronunciate.
La osservavo agire e la guardavo come fosse stata la cosa più bella che avessi mai visto in qualsiasi mondo: per me era così…
Il pugnale ci aveva indicato la cima del monte più vicino. Arrivati alla sommità un cerchio di pietre a secco, del diametro di circa novanta metri, si presentava ai nostri occhi sotto la luce lunare. Alcune grandi querce cresciute al suo interno ne adombravano una parte. Al suo centro era presente una depressione quadrata: in quel punto doveva ergersi, in passato, un’ara per i sacrifici propiziatori. La presi per mano e corsi con lei in quel punto focale proprio mentre degli ululati si alzavano al cielo e fu come essere sbalzati tra le stelle, per poi rivedere quegli stessi astri dal centro di quell’antico tempio, la nostra meta: ce l’avevamo fatta!

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