lunedì 20 dicembre 2010

Buon Natale


Il titolo di questo scritto è fuorviante, lo dico subito. Non è quello che ci si attenderebbe da un "buon Natale", piuttosto un'interrogazione sul significato di queste parole.
In un dicembre di non molto tempo fa mi piombò tutta insieme, inaspettata, l'insignificanza della parola Natale e di tutto quello che gli ruota intorno, come in un percorso a ritroso della storia di Charles Dickens, in cui scaccio i fantasmi del passato, del presente e del futuro Natale trovandomi nel mio finale in una condizione simile al personaggio del racconto alle prime pagine del libro, ma senza l'egoismo del caso.
Il presepe, l'albero, i regali e la corsa a farli, il senso di buono che il periodo sembra avere insito in sé e pare instillarsi nell'animo delle persone, le vie illuminate con le luci intermittenti montate dai commercianti che richiamano all'acquisto e che insieme alle pubblicità contribuiscono all'atmosfera, i paesaggi innevati tipici del periodo, Babbo Natale con le renne, il panettone, il pandoro, il torrone e la lunga tradizione di canzoni sul tema. D'improvviso di tutto questo mi è parsa palese l'etrema incoerenza, di tutto tranne dei paesaggi ovviamente (la natura non è mai fuori posto).
"Buon Natale" mi è sembrato paragonabile al "come stai", con il quale convenzionalmente si apre l'incontro con una persona e al quale altrettanto di circostanza si risponde "bene" nonostante questo, spesso, non risponda a realtà. Ma non è tanto la formula augurale, quanto il Natale stesso a sembrarmi privo di consistenza. L'incoerenza di questo giorno è il tarlo principale che ha minato la superficiale struttura di una giornata costruita dall'uomo per l'uomo e che ha sempre fatto parte della cultura della società in cui sono inserito fin dalla nascita.
Di questo giorno ho goduto per lunghi anni, bambino ad aspettare i regali, richiesti o meno, sotto l'albero o nel calore dei raduni familiari in cui si giocava a tombola piuttosto che a carte a seguito del cenone o del ricco pranzo del 25. Ma il Natale, come quasi ogni aspetto della vita del nostro tempo, è costellato di contraddizioni che puoi far finta di non vedere anche per una vita, ma che sei costretto a guardare se vuoi seguire un percorso di consapevolezza. E' lì, a questo punto, che viene meno l'incantesimo.
Non parlo solo del consumismo sfrentato di questo giorno, in cui tutto è mirato a creare le condizioni dell'acquisto del superfluo, spingendoci a mangiare oltremodo quando gran parte del pianeta ha seri problemi di alimentazione. Non parlo nemmeno solo del buonismo su telecomando che sembra colpire l'uomo nel periodo, come non dovesse mostrarlo con altrettanta partecipazione nel resto dell'anno. Parlo soprattutto di una storia che viene celebrata e che trae origine da un fenomeno naturale che tutti dovrebbero conoscere, che la cultura svela ma che la persona comune ignora perché così fa comodo all'economia e a chi tira le fila del controllo e del potere sulle masse. La Chiesa è al solito in prima fila sul banco degli imputati.
Il bambino nato per intercessione dello spirito santo il 25 dicembre, morto e poi risorto è presente nella cultura di molte civiltà ben più antiche della nostra, millenni prima della nascita di quel personaggio, per alcuni letterario e per altri sacro, che chiamiamo Gesù.
Horus, il dio sole egiziano, Attis, Krinshna, Dioniso dio greco, Mitra dio della Persia, Budda, Odino e moltissime altre divinità hanno un giorno di nascita uguale ed una storia simile se non coincidente a quella del Gesù cristiano. Vi invito ad informarvi su questo.
La leggenda della divinità nata il 25 dicembre e poi risorta è una trasposizione astronomica del sole (Sol Invictus), che il 22 dicembre, il giorno del solstizio d'inverno, raggiunge il suo punto più basso sull'orizzonte e per tre giorni appare immobile (come morto) per poi riprendere a risalire, o se preferite a "risorgere".




Andiamo in luoghi di culto, insieme a molte altre culture del presente e del passato a rendere omaggio al sole che si alza ancora dall'orizzonte. Essergli grati per la sua azione, assolutamente necessaria e vitale non mi sembra poi così grave. Antropomorfizzarlo mi pare invece quanto meno anacronistico, o meglio, non conoscere la vera essenza di questo giorno lo è. Ringraziamo il sole, basta saperlo e togliere potere a chi ci specula sopra.
Come immaginate il mio allontanamento dallo spirito commerciale e strumentalizzato del Natale non ha un lieto fine, i fantasmi di Dickens non verranno a farmi cambiare idea. Questo non significa che mi tirerò indietro nelle tradizioni, usi e costumi, ma che lo farò con misura e con la consapevolezza del suo reale significato.

Guardare le cose per quello che sono rappresenta il principio di un vivere coerente e di una società più libera da chi la vuole prigioniera delle favole. Le favole spettano solamente al nutrimento della fantasia dei bambini.

Del resto è infantile, da parte mia, credere ancora a Babbo Natale, sarebbe come credere alla Befana (parola di Margherita Hack).




Ho perso un certo spirito del Natale ma ho trovato il sole. Non so a voi, ma a me questo sembra davvero un bel lieto fine.

Ah, dimenticavo... buon Natale.