mercoledì 28 aprile 2010

Agorà: la pochezza dell'uomo

La fotografia dell'Alessandria a cavallo tra IV e V secolo d.c. specchio della nostra società odierna: questo è Agorà di Alejandro Amenábar.
All'uscita dalla sala c'è rabbia mista a frustrazione e non per la regìa (per altro non impeccabile) o per qualche piccola incongruenza storica, ma per quella fotografia...
Nulla è cambiato in milleseicento anni. Nel film, come nella realtà che ci circonda, è messa a nudo tutta la pochezza dell'uomo: la sua incoerenza, la sua ingenuità, la sua intolleranza, la sua brama di potere, il suo totalitarismo. Alla frase "ma da quando ci sono così tanti cristiani??!" possiamo sostituire oggi leghisti, berlusconiani...
Ogni uomo da Amenábar è rappresentato schiavo. Schiavo di una religione, sia essa pagana ebraica o cristiana, o schiavo di fatto. E così lo schiavo resterà schiavo e chi si invischia nella metastasi della religione lo sarà anch'esso, illuso di servire il vero dio al servizio inconsapevole di una lotta di potere e di controllo.
Ipazia D'Alessandria, matematica, scienziata, perfezionatrice del planisfero e dell’astrolabio, protagonista e vittima dell'idiozia umana, non è ereoina atea e femminista come qualcuno vorrebbe farla passare: è anch'essa nelle spire della religione (pagana) e della cultura del suo tempo, ma attraverso la scienza, la messa in discussione della realtà che la circonda, è la sola figura, nel desolato paesaggio umano, che mantiene la lucidità necessaria ad emergere. Ipazia è l'unica che in un mondo di schiavi riesce a trovare una chiave di fuga per la libertà: il sapere, la ragione.
A uscirne sconfitto, nel film, non è il cristianesimo nè l'ebraismo e neppure qualsivoglia altra religione... ma l'uomo.
Andate a vedere questo film per il suo significato.