domenica 8 maggio 2011

Il futuro ateo: superamento delle religioni


Atei (7,8%) + agnostici italiani(10,7%) al 18,5%.
Non credenti in crescita secondo l’ultimo Rapporto Eurispes. Solo quattro anni fa la stessa Eurispes stimava i cattolici italiani nell’87,8% della popolazione. Calano anche i praticanti: erano il 36,8% nel 2006, ora sono al 24,4%. Il 60,1% della popolazione si è dichiarata favorevole all’esposizione del crocifisso, sulla falsariga della precedente rilevazione: ma rispetto a quattro anni fa è in aumento il numero di chi chiede che non sia urtata la sensibilità di chi “professa altre fedi”.

Il futuro è ateo...

Ho assistito a numerosi atti di ostilità, incoerenza ed ipocrisia riguardo all'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici italiani da parte di molti presunti cattolici praticanti ed esponenti della Chiesa nei confronti di praticanti altre religioni, di atei e nello specifico contro l'UAAR. Ne ho preso spunto per buttare giù un punto di vista ateo sulla religione a cui volevo mettere mano da tempo.

Il credente è una persona che ha rinunciato a fare gran parte del suo cammino perché ne ha accettato uno pronto che lo porta verso un vicolo cieco che pensa meta. L’ateo invece, con le sue gambe, è su una strada che si perde in un orizzonte senza traguardi…

Bisogna disimparare, estranearsi dalla società in cui si è nati per poterla capire (e capirsi), per poi tornare a guardarla liberi dai suoi condizionamenti.
Siamo stati abituati dall'infanzia a fare nostri dei pacchetti "tutto incluso", siano essi una religione o un partito politico: l'indipendenza intellettiva e il potenziale individuale sono stati parzialmente menomati e "sacrificati" sull'altare delle necessità dei meccanismi sociali.

Il credente non comprende la visione dell'ateo: "non è possibile che tu non creda in nulla!". In realtà l'ateo crede nel "non credere", ovvero, la verità è che la questione per lui è un non tema in quanto il quesito è ampiamente superato. Superata è la concezione di religione, tanto più di massa. Preistorici gli appaiono discorsi, rituali, gerarchie create dall'uomo per l'uomo, ma credute divine da chi non è capace di uscire da schemi millenari, guardare al di là e porre un pensiero compiuto sul sentire della propria spiritualità, di trovare una strada personale verso il proprio cammino di crescita che non sia quella tracciata da altri in altri momenti storici, rinunciando alla propria unicità.

La religione, sin dal momento in cui "l'animale" uomo ha cominciato a porsi domande e ad acquisire una coscienza di sé, è nata spontaneamente per dare una spiegazione a ciò che non era comprensibile e al tempo stesso per fornire una chiave di lettura della vita, alleviando così la "paura dell'ignoto" e incamminando il credente su di un percorso prestabilito. Il problema non è tanto della religione nella sua naturale fase embrionale, ma nella sua accettazione acritica e nella massificazione. Quest'ultimo aspetto tende infatti a far abbassare la qualità dei concetti su cui si basa il credo, a vantaggio della diffusione dello stesso, favorendo la distorzione del pensiero originario e, quel che è peggio, la strumentalizzazione a vantaggio di una casta dominante interprete del "verbo".

La formazione di una religione, in linea di massima, segue schemi ben definiti. Tra gli schemi più ricorrenti c'è questo: un uomo (l' "illuminato"), fondamentalmente una persona non diversa dalle altre, ma solo più indipendente intellettualmente, fornisce delle risposte sulla base delle proprie esperienze, conoscenze e riflessioni. Propone dei modelli di vita, ex novo o impiantati su di un credo precedente, ai quali per diffusione orale viene data risonanza, anche ampliandone, nel passaparola, i contenuti, spesso fino a trascenderne la primigenia intenzione. Il presunto autore del credo viene mitizzato, divenendo nel tempo un'impalcatura di pensiero di molti padri riconducibili ad un solo nome. Lo sa bene Osho il quale, cosciente dei limiti delle religioni e della debolezza dell'uomo, ha espressamente richiesto, a chi lo seguiva, di non fondare una religione sulle sue parole, ma di trovare ognuno una propria strada facendo anche tesoro delle sue riflessioni.
Uno dei paradossi è che "l'illuminato" altro non è che una persona comune che si erge sugli altri unicamente per il mancato esercizio di questi ultimi del proprio intelletto. Il paradosso è che questi "illuminati" non volevano, per le consapevolezze acquisite o perché a loro volta credenti in una religione, essere oggetto di culto.

Nel suo percorso l'umanità ha creato molteplici divinità. Un caleidoscopio di esseri al di sopra di ogni cosa ai quali rivolgere le proprie preghiere, chiedere intercessioni o miracoli. Storicamente una società ha soppiantato l'altra portando in alto il proprio culto. Storicamente i governanti delle società hanno "cavalcato" una religione perché funzionale al controllo del popolo.
Se la religione è servita ad ogni popolo per tamponare i propri bisogni intellettivi e organizzativi impellenti, dall'altro ha reso l'uomo dipendente di un'unica scuola di pensiero e di un organismo al di fuori di sé che lo ha spinto passivamente ad accettare determinate "verità" a scapito di una personale ricerca interiore. Le società si sono così esposte alla mercè delle gerarchie interpreti del "divino", con evidenti conseguenze che possiamo riscontrare nella storia e nell'attualità.

C'è spesso un'inconsapevole incoerenza tra le azioni del credente e il sistema di valori propri del "pacchetto religioso" a cui è legato, questo perché quei valori non sono maturati in seguito ad un percorso di consapevolezza, ma di accettazione passiva, non mediata e interiorizzata, di un pensiero elaborato da altri e presentato come assoluto.
Frequenti sono i casi di ostilità del "fedele" nei confronti di altre religioni o sistemi di pensiero che vengono recepiti come una minaccia alla propria religione e al sociale: in realtà minano unicamente la sua stabilità personale. Quel che si difende non è tanto il credo indotto ma il sistema stesso su cui basa la propria vita.

Il credente non è, dunque, incline ad ascoltare l’altro, così chiuso nelle certezze che ha accolto a scatola chiusa spesso dall'infanzia: ma il suo limite sono proprio i confini di quella scatola in cui è relegato.
Non si può toccare la scatola di una persona: può difenderla fino all’intolleranza. In quella scatola c’è tutto il suo modus vivendi. Togliergli la scatola equivale a sottrarre da sotto i suoi piedi i suoi più radicati punti di riferimento: dovrebbe mettere in discussione la propria intera esistenza. Il credente, privo del suo contenitore, si sentirebbe nudo. Nudo appare agli occhi di un ateo, che contrappone alla staticità di uno schema preconfezionato l'evoluzione dinamica del pensiero che varia di ora in ora i suoi riferimenti di base, ristabilendo continuamente nuovi equilibri.

Tutto questo non significa che un ateo è migliore di un credente, ma che potenzialmente il primo ha un'impostazione ed un'elasticità mentale per compiere un cammino di vita più profondo.


L'ateo come lo intendo io, dunque non una persona che giunge a questa condizione per partito preso contro le religioni o per l'inerzia di una mancata presa di posizione, è una persona maggiormente libera, con meno schemi e scatole da difendere, che non mira ad appartenere ad una religione o ad una qualsivoglia istituzione, ma a creare una personale visione della vita, coltivando la propria spiritualità, approfondendo la conoscenza di sé nel mondo. Ghandi, Buddha, Osho, Gesù, Nichiren Daishonin, Fromm, Jung: da ognuno di loro, da molti altri, dalle cose più piccole della vita, l'ateo interiorizza qualcosa... e pur nel rispetto di tutti non considera nessuno al di sopra di sé. Cerca di formarsi in un mix attualizzato di quanti con la loro saggezza lo hanno preceduto, metabolizzando, rielaborando, compiendo un ulteriore passo avanti individuale, e indirettamente partecipando alla crescita evolutiva sociale. Tutto questo senza supponenza, nella consapevolezza del principio di uguaglianza tra gli uomini.
Potenzialmente l'ateo è l'illuminato dei nostri giorni e il credente è l'eterno discepolo, con i suoi limiti e, molto spesso, frustrazioni.

Molti credenti pensano l'ateo privo di sorriso e felicità, di contro molti atei vedono nel credente il sorriso dell'inconsapevolezza.

Nella società odierna (e di sempre) è molto più facile trovare delle persone "spente" piuttosto che "illuminate", passive piuttosto che creative, inconsapevoli anziché coscienti. Del resto chi detiene le redini del potere (politico e religioso) trae tutti i vantaggi nel "coltivare" questo tipo d'uomo.
Tuttavia le religioni "storiche" si dirigono inevitabilmente verso l'estinzione. Superate e arrugginite, non soddisfano più le esigenze dell'uomo moderno. La loro facciata presenta crepe che i "reggenti" cercano di riparare con sempre meno successo.
Come osservava Pasolini nel 1973, il neocapitalismo non ha più bisogno della Chiesa e finisce inesorabilmente per distruggerla, inglobandola e sostituendola. I meccanismi di base su cui fondano le "nuove religioni" trovano terreno fertile sulla debolezza della passività millenaria con la quale siamo stati "geneticamente allevati".
Siamo in un momento di passaggio, per certi versi di decadenza, in cui il dio "denaro" si sostituisce a quello delle chiese e in cui l'uomo non è ancora in grado di liberarsi dalle catene delle religioni di qualsivoglia natura.
Il declino di queste istituzioni sarà molto lento: fino a che non si sarà strutturato, l'uomo continuerà a subire il fascino di uno strumento che gli fornisca conforto nel momento di difficoltà personale, l'alibi della deresponsabilizzazione e gli consenta altresì di utilizzare inconsapevolmente la religione come mezzo per attingere alle proprie risorse che vengono generalmente "battezzate" opera divina o "eventi soprannaturali". Del resto, una delle prerogative della religione è quella di essere un mezzo, messo a disposizione da altri, per l'esplorazione dell'umano.

Il futuro ineluttabile dell'evoluzione è nel superamento delle religioni, nella coltivazione della propria spiritualità al servizio indiretto della comunità.


Chiudo segnalando un'interessante ricerca riportata su Huffington Post dallo psicologo Nigel Barber secondo la quale gli atei avrebbero raggiunto punteggi sostanzialmente superiori nei test di intelligenza rispetto alle persone religiose. Vi invito a leggere l'articolo (clicca qui) e in merito chiudo affermando che non poteva essere altrimenti.

3 commenti:

  1. Dal tuo articolo sorgono a mio avviso molte cose esatte ed anche alcune inesattezze. Dalle tue parole, posso sbagliare naturalmente, si può evincere che tu non sia completamente ateo. O nella migliore delle ipotesi, sia un ateo con un forte bisogno di spiritualità. Questa è per quattro quinti una contraddizione in termini.

    Per dover d'esattezza, mi permetto di fornire alcuni chiarimenti in merito essendo invece io un ateo totale, fatto e finito. Chiarimenti sempre di origine personale naturalmente.

    L'ateo vero è semplicemente colui che non impiega del tempo a porsi diversi quesiti che principalmente possono essere così riassunti:

    a) la vita deve per forza avere un "senso superiore" al fatto che io debba andare in ufficio per portarla a termine. Si può anche ammettere che spesso certe situazioni di lavoro, o con i colleghi, spingano a pensare in tal modo, ma occorre anche e soprattutto ammettere che pensieri di questo tipo non hanno mai risolto alcuna situazione aziendale nel proprio ufficio e men che meno negli uffici ln generale. Sono sempre stati dei pensieri pratici che hanno potuto risolvere determinate questioni, e l'ateo preferisce dedicare del tempo a quest'ultima tipologia di cogiti.

    La vita a mio parere, non ha un "senso". La vita è un fatto esclusivamente organico e noi siamo soltanto degli esseri appartenenti al regno animale. Se poi per alcune cose ci differenziamo, come il possedre la capacità di porci dei quesiti ad esempio, beh questo è un altro discorso che appartiene ad un fattore evolutivo che ancora non conosciamo. All'ateo è sufficiente sapere questo. Non ha alcun interesse ad impiegare del tempo per scoprire tale anello mancante, sottraendolo magari ad una cena con una bionda sui quaranta o ad un meeting d'affari.

    L'uomo parla e gli animali non lo fanno, come mai? Considerando che esistono animali con uno sviluppo della muscolatura labiale e con la capacità fisiologica di associare l'emissione dell'aria ad un movimento della lingua più accentuato rispetto alla totalità delle bestie (vedasi i pappagalli), possiamo sostenere al massimo, che noi siamo il prodotto dell'evoluzione di tale sviluppo dell'articolazione labiale. Così come la gallina ha subito un regresso nello sviluppo dei volatili, dovuto dal rapporto ali/peso corporeo che le impedisce di volare. Possiede le ali ma è troppo grassa per volare.

    Sostenere che la volontà del gallo raffigurato sulle anfore greche o nei geroglifici egiziani, sia la certa e l'unica spiegazione di tale fatto, è una spiegazione di comodo che non risolve minimamente questo quesito.

    Quindi la vita per un ateo, va vissuta unicamente per quel che può offrire di concreto. Ovvero, di ciò che notiamo possa esser fattibile in questo lasso di tempo che abbiamo a disposizione prima di divenire concime per mezzo dei vermi e continuare il circolo organico della natura. Come accade ad una prugna che ormai matura, cade al suolo e non molto dopo diventa alimento idoneo per il proseguire del ciclo biologico naturale.

    Il "sistema" della natura è soltanto questo, che piaccia o meno. Occorre prenderne atto senza pretendere di esserne estranei solo perchè si è in grado di porsi delle domande.

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  2. In ultima analisi, molte altre cose potrebbero essere aggiunte in merito, ma altro non farebbero che dimostrare ulteriormente che tutte le "soluzioni" che il credente è sicuro d'aver trovato, sono soltanto degli infantili palliativi per sopperire a determinate mancanze conoscitive che tra l'altro, in molti casi sono proprio una conseguenza di quel tipo di cultura che l'ha reso credente.

    L'ateo non ha questo tipo di cultura ed al massimo può chiedersi chi è che glelo fa fare ad un credente di andare ad infilarsi in certe cose, dato che le possibili soluzioni dipendono soltanto da se stessi e dalla gente che si ha attorno.

    Le automistificazioni non risolvono mai nulla. Anzi, alimentano un distorto modo di vedere le cose che alla lunga, facilmente diventa patologico.

    Per concludere, gli atei vogliono che le questioni spirituali e le automistificazioni dei credenti passino ad essere da culture dominanti, a individuali scelte di vita da diluire in mezzo alle altre. Non ultimo, per ridurre i danni sociali che l'obbligatorietà di queste cose reca e ha recato con se.

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    1. Ateo, etimologicamente significa "senza dio", colui che non riconosce un dio rivelato... il che non significa non sia una persona fortemente spirituale (secondo me con un potenziale, in questo, più ampio del credente, in quanto ha un percorso sterminato di crescita davanti senza i paletti dettati da altri). Si confonde spesso la spiritualità, che altro non è che il cammino personale verso la conoscenza e la consapevolezza di sé e dell'animo umano, con la religiosità: sono due cose ben distinte che si tende a unificare solo perché le religioni di massa si sono largamente appropriate di questo sentire umano, veicolandolo, coscientemente o meno, a proprio vantaggio. L'uomo che tu descrivi è certamente un tipo di ateo esistente, come ce ne sono tanti: non quello che descrivo e a cui aspiro. Tra l'altro il termine ateo non mi è simpatico, perché non si nasce credenti e si dovrebbe parlare appunto in termini di evoluzione umana senza sottolineare il "diversamente credente", che sa molto di etichetta di stampo religioso a sottolineare che la norma è altra. Detto questo, certamente rispettabile per visione e scelte, come poi lo sono le opinioni e il sentire di ogni persona, ma a mio avviso, l'ateo di cui parli è limitato ad un materialismo che inaridisce e che non lo allontana, nella scala evolutiva, da un livello di maturità di un credente medio. E' un po' la visione di contraltare a quella del religioso, a volte nata in opposizione a questo, priva di quella curiosità (caratteristica della natura umana) che spinge ogni persona a guardare oltre il concreto dei suoi bisogni primari, che pure sono un aspetto importante della vita. Il superamento delle religioni, a mio avviso, è dettato da una crescita nella consapevolezza della popolazione umana che comporta inevitabilmente l'allontanamento di uno strumento (la religione) dal sapore oramai preistorico... ma questo passaggio evolutivo dell'intelletto non può essere certo compiuto attraverso una visione limitata ad un settore della vita (la materia) a cui, come ad ogni aspetto, va data la sua giusta importanza senza che diventi totalizzante... L'uomo di cui parlo, e che è poi quello tendenzialmente emergente, è oltre tutto questo, molto più elastico mentalmente e lontano anni luce da ogni forma di religiosità e grettezza materialista, capace di generare una visone e di innescare una mentalità che vada a sostituirsi a quella obsoleta precedente.

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