sabato 24 luglio 2010

Questo strano virus chiamato uomo

Così assorbiti dai nostri giocattoli... ci dimentichiamo di guardare le stelle.

Forse, quello che segue, è il resoconto di un alieno che ci osserva; forse, quello che segue, è il frutto di una coscienza risvegliata dalle ceneri di un pianeta...

Visitiamo un luogo e nella maggior parte dei casi andiamo a vedere delle città: umane architetture, umane chiese, la loro umana storia. Andiamo ad ammirare umani dipinti, sculture, umane composizioni. Scattiamo fotografie digitali, rispondiamo al telefonino, ci mettiamo al computer portatile nel nostro peregrinare, spostandoci con automobili climatizzate o con l'ultimo più veloce treno: umani giocattoli che utilizziamo nell'umana città abitata da esseri che tengono al guinzaglio altri esseri. Siamo così presi a guardarci allo specchio, così catturati nel guardare quanto siamo bravi da percepire la sensazione di essere soli, fino a non vedere quello che c'è intorno, o quel che ne resta...
Narciso, vedutosi riflesso in uno specchio d'acqua, si innamorò di quell'immagine di uomo fino a morire affogato nel tentativo di raggiungerla: eppure avrebbe dovuto vedere solo dell'acqua.

La realtà è interpretata dall'uomo attraverso una sua visione antropocentrica che si allontana come una retta divergente da quella naturale.
L'uomo non vuole accettare o vuole dimenticare di essere un animale come qualsiasi altro su questo pianeta e si racconta tutt'altro. Lui fa distinzione tra sé e ogni altra creatura vivente ritenuta inferiore, tra sé e l'ambiente in cui vive. Crea un suo ecosistema fatto oggi per lo più di cemento e metallo: oramai poco importa se è impiantato sulla terra o sulla luna, purché possa essere replicato con i suoi comfort.
Il mondo è plasmato secondo il suo pensiero e sottomesso ai suoi bisogni: la naturalità del suo istinto è ormai limitata al bisogno di possedere beni e guadagnare prestigio al solo scopo di dominare.
L'estraneamento dal resto del pianeta, a vantaggio di ambienti in cattività dove prospera, non gli ha più permesso, nel corso delle generazioni, di relazionarsi con l'ambiente circostante, finendo per sottostimarlo, dimenticarlo. L'uomo ha finito per vedere e sentire solo sé stesso: il risultato è lo squilibrio nei confronti degli ecosistemi circostanti.
La visione umana della realtà risulta distorta e di consequenza distorte sono le sue azioni.
L'uomo tende a conquistare, nel suo gruppo, una posizione dominante. Quando le risorse mentali, nell'arco della sua evoluzione, glielo hanno consentito, le ha utilizzate in maniera prioritaria per controllare i suoi simili attraverso il dominio di istituzioni quali le religioni, le comunità, gli stati, creati dall'uomo stesso per soddisfare l'esigenza di regolare i rapporti sociali e di condotta etica all'interno del suo clan.
Un gruppo ha soppresso l'altro: il Sapiens il meno attrezzato Neanderthal; un paese un altro paese; una religione un'altra religione, fino ad arrivare ad una élite che governasse su di una maggioranza assoggettata.

L'evoluzione dell'uomo, sfociata in sovrastrutture e logiche di potere, si è rivelata di fatto la sua involuzione:


L'uomo ha creato, l'uomo ha plasmato, ma non ha mai avuto, ne ha, le risorse mentali per autogestirsi: il passaggio da facente parte della catena alimentare, a padrone incontrastato al di sopra di essa, non è mai stato coadiuvato da un cambiamento adeguato di mentalità e così le acquisite capacità sono state per lui un'arma a doppio taglio: un'arma in mano ad un bambino.
Il bambino trovandosi a gestire una situazione più grande di lui finisce per fare dei danni:
Sfruttamento incontrollato delle risorse; squilibrio all'interno delle società umane della distribuzione delle risorse stesse; distruzione di svariati ecosistemi e di altre specie animali; inquinamento. Fino ad arrivare a condizionare il clima al livello planetario.
L'uomo ha perso il contatto con la natura di cui fa parte, sentendosi altro: il risultato è che non è più stato in grado di stabilire un equilibrio e un dialogo con essa e con sé stesso, finendo per perdere il controllo, imboccando la strada per l'autodistruzione. Quello che egli chiama civiltà e modernità, altro non è che l'apice di un degrado che lo rende sempre più estraneo al contesto.
La natura ha una soluzione semplice e radicale per i fallimenti degli sviluppi delle sue forme biologiche: l'estinzione. Così è accaduto anche in passato per specie che hanno dominato e totalizzato il pianeta quali i dinosauri: così accadrà ancora per chi non sarà capace di correggere il proprio percorso evolutivo.
Pasolini ha sempre avuto una lucida visione della parabola del cammino umano. Egli riteneva che l'evoluzione dell'uomo moderno, nell'era del consumismo, delle grandi asettiche metropoli standardizzate, dovesse necessariamente implodere nel ritorno ad una vita contadina: in sostanza aveva intuito la necessità di un ritorno al contatto con la natura e a delle strutture sociali più semplici ma vere e soprattutto più identitarie.
Il maggior successo dell'homo sapiens sapiens va ricercato nel suo passato e deve tornare a far parte del suo futuro, se vuole averne uno.
L'uomo deve necessariamente ripensare se stesso anche sacrificando l'agiatezza acquisita. Deve riappropriarsi della visione del "sé nel tutto", abbandonare l'istinto di dominio e far sua quell'umiltà che oggi non gli appartiene. L'alternativa è il proseguio di un'involuzione che lo rende sempre meno appartenente al mondo animale e sempre più simile a un virus per un pianeta che ha pronto il suo vaccino.


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