TARDI
Le
scrissi dei pensieri, cose che le avrei voluto dire:
Non
ho più ali, ma per librarsi non servono quelle né uno specifico mondo… e non ha
senso farlo soli...
Credo
ci si possa superare andando oltre quel che siamo individualmente, nel rispetto
della propria natura; che siamo in grado di essere altro da un diverso colore d’ali,
in grado di andare al di là del tempo e lo spazio, del bene e male, delle
asettiche regole di un mondo lontano dal proprio sentire… Questo è l’unico vero
amare, con le maiuscole: un amore che si fa legge tra le leggi, un amare un po’
diverso come diversi siamo noi…
Credo
che la vita, come l’amore, sia dinamica. Credo nella libertà di scegliersi ogni
giorno e che ogni giorno ci si possa dare la possibilità di trovarsi o di
perdersi…
…Credo
a quel senso di oppressione alla gola che toglie il respiro se solo non mi sei
vicina...
Ti
amo
Piegai il foglio
in quattro parti e lo riposi sul marmo del comodino come si affida un messaggio
in bottiglia alla corrente marina, senza sapere se quelle parole avessero mai
potuto raggiungerla o avessero mai potuto raggiungere altro sguardo… Pensai poi
che, come tanti pensieri nelle bottiglie, anche questo poteva finire su una
spiaggia disabitata ed essere ricoperto dall’oblio della sabbia… Ma forse era
importante averlo formulato a prescindere. Forse, per il solo fatto di averlo
concepito, poteva comunque entrare a far parte del patrimonio di quel mondo, o
di tutti i mondi… ed infilarsi comunque in qualche fessura del cuore, magari
attraverso il respiro…
Resistivo
per lei, per il peso che ne avrebbe potuto sentire e che così tanto le avrebbe
pesato sull’anima.
In
Primordia mi ero scoperto a vivere e ad essere una sola cosa al suo fianco: in
questo mondo morivo se non l’avevo vicina, questo mi fu chiaro dal primo
momento che vi misi piede.
Era
un male fisico che mi arrivava fino all’anima, o che di lì partiva rendendosi
materiale.
Non
c’è una vita dopo la morte.
Gli
umani si interrogano, inventano moltitudini di dei e religioni, sprecano
montagne di carta provenienti dagli alberi per raccontarsi la vita dopo la
vita, un paradiso, un valhalla o un inferno. Invece nulla, non c’è
assolutamente nulla: meno che il buio. Nemmeno il pensiero. Semplicemente non
sei, e quel che sei rimane nel ricordo, nelle azioni. nella traccia che è
rimasta nelle persone che hai incontrato, che hai amato e che ti hanno amato.
Me
ne andai da quella piccola casa: non dalla porta, nemmeno dalle finestre, dal
comignolo o dalle pareti.
I
lupi mi vegliarono tutta la notte e quando capirono che non c’ero più gli
ululati echeggiarono nella valle, si fecero strada nel buio e nel silenzio
della notte, tra gli alberi, raggiungendo i caseggiati del paese, le strade, i
ruscelli, gli altri animali: era il loro modo per dirmi addio.
Sembrava
stessi dormendo: così mi trovarono quei miei nuovi amici, la mia nuova
famiglia, la mattina successiva.
Non
era arrivata, non in tempo: forse era destino; forse doveva andare così; forse
era giusto così.
Del
resto le cose sarebbero andate tutte al loro posto: La Bestia sarebbe tornata
quella di uno, la sua, come moltissime altre, perché con me portavo via anche
la mia parte di rabbia, dolore, umana paura.
Primordia
ed il suo Mondo erano fuori pericolo.
Lei
avrebbe potuto continuare a passare il portale: ci sarebbe comunque stato
qualcuno ad attenderla e accompagnarla.
Gli
Anziani, nella loro saggezza, non erano mai stati in pensiero per il destino
dei due mondi: che fossimo riusciti nell’impresa o che uno dei due fosse venuto
meno perseguendo lo scopo, comunque erano in salvo.
Eravamo
convinti di un grande pericolo, preoccupati di infrangere regole, invece il
vero pericolo era qualcosa che riguardava solo noi due: quello di perderci dopo
esserci trovati; quello di non capire cosa eravamo per l’altro. La Bestia era
la nostra, solo la nostra: e non era solo rabbia, era anche le nostre paure che
non ci facevano guardare oltre. Gli Anziani lo sapevano, per questo la prova,
per questo il libero arbitrio, la libera scelta.
Lei
arrivò subito dopo i miei funerali.
Solo
il giorno prima, all’ennesima visita dei miei amici, disposi che volevo essere
sepolto a terra, in fondo a quel terreno, ai piedi di quella grande quercia con
sotto le felci; nessun loro rito religioso e volevo che, al posto di una foto,
ci fosse scolpito un lupo, un lupo in rilievo sul marmo bianco. Così fecero.
Non
avevo un cognome e sulla lapide misero il loro accanto al mio nome: un bel
gesto.
L’amore
di un’ala bianca per un un’ala nera, forse una follia. Quest’ultima sapeva
superare se stessa?
Non
c’era stato tempo per dirsi nulla, non aveva più importanza ora. La vita non va
come vorresti e, a volte, non sei forte abbastanza al di là delle intenzioni.
Il senso della vita era l’amore, questo lo avevo capito… Avevo amato, ed ero
felice così.
Mi
cercò per il paese, non so come arrivò lì, come lo seppe o da chi, e immagino
che non rimase poi così sorpresa dal cognome che trovò inciso nel marmo, né
dall’effige.
Il
capo branco le si affiancò e le si sedette vicino a condividere un dolore. Gli
altri lupi si misero tutt’intorno in un surreale silenzio allo scendere della
nebbia.
Mi
sembrò di sentire la sua disperazione passare il terreno e le sue lacrime,
cadendo in terra, sembravano cadere sulla mia pelle.
Tutto
passa amore mio, tutto passa… Avrei voluto dirle questa bugia per consolarla, ma
un dolore per un amore così non passa mai, e ne è uguale e contrario…
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