venerdì 10 febbraio 2012

La neve e l'uomo



Cade la neve a fiocchi larghi,
fredda, intensa, copre ogni cosa...

La neve, tralasciando i disagi, ha un effetto straordinario sull'uomo: lo mette di buon umore, in particolar modo là dove è un fenomeno poco consueto. Vederla scendere, attaccare il terreno e le architetture, le automobili e le piante, riporta alla superficie il bambino di ognuno anche alla luce di una veneranda età.

La neve però fa molto più di tutto questo: costringe l'uomo ai suoi tempi...; lo blocca nelle abitazioni o nell'immediato circondario, costringendolo a vivere in un rinnovato e antico modo lo spazio, facendoglielo godere nella prospettiva regalata dalla velocità rallentata del proprio incerto passo nel paesaggio monocolore...

La neve è l'imposizione della natura sulla frenetica logica dell'uomo... la rivincita sulla violenza che le ha perpetrato in modo crescente negli anni, violenza a cui l'uomo stesso si è sottoposto...

La neve ristabilisce l'equilibrio, l'ordine sovvertito delle cose all'interno di una battuta d'arresto lunga quanto lo sciogliersi di una speranza... Per questo forse, mi piace la neve... e vorrei ne cadesse tanta da lasciare il tempo all'uomo di ricordargli il suo posto.





venerdì 3 febbraio 2012

La banalità e Monti

L'articolo che segue non è mio, ma di una firma che ho lungamente corteggiato: una persona che possiede una chiave di lettura della società davvero poco comune, certamente di prezioso contributo per la comunità. Non è stato semplice convincerla a scrivere, ma ho il piacere di presentare di seguito l'articolo di Sonia Pierangeli. Buona lettura.


"...il mondo non è più quello che era qualche decennio fa; per cui questo è fondamentale: i giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita: è più bello cambiare, avere delle sfide purché siano in condizioni accettabili; e questo vuol dire che bisogna tutelare un po' meno chi oggi è ipertutelato, tutelare un po' di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci." (Mario Monti).


Sento il bisogno, sebbene in ritardo (ma, ahimé, i miei tempi di rielaborazione sono sempre piuttosto lunghi) di intervenire e di esprimere la mia opinione relativamente all'infelice battuta di Mario Monti sulla monotonia del posto fisso. L'occasione mi viene offerta da un dibattito su un social network dove si è polemizzato sul fatto che la frase "...che monotonia un posto fisso per tutta la vita" è stata postata, commentata, criticata, considerandola sempre al di fuori del contesto in cui è stata pronunciata. Ritengo sicuramente giusta l'osservazione per cui ogni affermazione, ogni tipo di realtà vada conosciuta e giudicata in relazione al contesto di cui fa parte, ma le parole dell'attuale Presidente del Consiglio mi si sono presentate, fin da subito, come l'inevitabile risultato di un'argomentazione facilmente ricostruibile e quando ho poi letto la trascrizione dell'intervento, non ho trovato nulla che non mi aspettassi.
Questa sensazione di trito e ritrito, di sfacciata semplicità, è la cosa che più mi ha colpito; tutto l'intervento mi è sembrato improntato su una banalità disarmante e soprattutto stridente con l'indubbia intelligenza dell'uomo Monti. Mi è venuto spontaneo chiedermi perché una persona della sua levatura abbia scelto un linguaggio di questo tipo, questo contrasto in qualche modo ha solleticato la mia curiosità e quindi ho voluto soffermarmi su alcune scelte linguistiche e lessicali operate per la formulazione del messaggio. La facilità di affermazioni come: "
...il mondo non è più quello che era qualche decennio fa" o "è più bello cambiare, avere delle sfide " ricorda molto da vicino il linguaggio degli slogan ai quali eravamo abituati fino a qualche mese fa, unica differenza la maggiore sobrietà; dopo circa la terza rilettura, mi sono resa conto che l'attenzione dell'ascoltatore viene sì catalizzata dalla frase che ha suscitato così numerose polemiche, ma tutto il discorso si struttura intorno ad un concetto indirettamente espresso dalle seguenti espressioni: 1) "i giovani devono abituarsi all'idea; 2) "condizioni accettabili": si tratta in pratica dell'invito ad accettare passivamente quanto ci viene propinato come soluzione. Personalmente ritengo che ciò che viene proposto da un governo, politico o tecnico che sia, non possa in alcun modo seguire il principio di accettabilità, bensì quello del riconoscimento e della tutela della dignità di ogni membro della comunità: i risultati conseguiti possono essere accettabili, non certo gli obiettivi proposti; inoltre proporre la sfida come valore positivo e affermare che la si debba accogliere a condizioni accettabili, mi sembra una contraddizione in termini, in considerazione soprattutto della difficoltà che inevitabilmente si affronta nel momento in cui si devono individuare dei parametri oggettivi per stabilire i livelli di accettabilità di una condizione, in rapporto ad una sfida da affrontare: la gamma può spaziare dal semplice poter respirare, al poter studiare, alla possibilità di usufruire parzialmente di beni superflui. Il punto più ambiguo, un'ambiguità di cui solo la banalità può farsi portatrice, è quello in cui il Presidente afferma che bisogna tutelare un po' meno chi oggi è ipertutelato, tutelare un po' di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci. Questo significa che l'ipertutelato, perdendo un po' dei suoi privilegi diventerà un semplice super-tutelato e che il quasi schiavo diventerà un poco- meno - che - schiavo? La tutela del diritto al lavoro e di tutti gli altri diritti previsti dalla Costituzione non ci dovrebbe essere tout court? Si può tutelare un po' il diritto ad avere una casa, una famiglia, una pensione, un sistema sanitario, un'istruzione pubblica, insomma una vita dignitosa e soddisfacente?
Non ho intenzione di concludere con una interpretazione univoca e definitiva delle parole di Monti, ma non posso comunque non tener conto del fatto che ogni forma di comunicazione prevede la trasmissione di un messaggio, ma anche il raggiungimento di uno scopo; soprattutto non posso non tener conto di una cosa di cui sono fermamente convinta: le parole hanno un peso, una consistenza, un valore e, citando un vecchio detto indiano, bisogna fare attenzione a quello che si dice perchè le parole costruiscono il mondo intorno a noi ... se tanto mi da tanto...



Qui finisce l'articolo, e l'autrice non ha inteso dare una lettura univoca delle parole pronunciate dal sig. Monti. Ma il blog si chiama Punto di Vista @ Stefano, dunque mi sembra opportuno riportare, in calce all'articolo, la mia chiave di lettura dell'intervento:

La frase, che così tanto scalpore ha suscitato, seppure infelice, scoordinata, avventata, ha avuto la funzione di attirare l'attenzione e fungere da diversivo al fine di far entrare nella mente della popolazione dei concetti senza la dovuta attenzione critica. I contenuti dell'intervento, tanto bene esposti nell'articolo, avevano il fine ultimo di puntare al ribasso della concezione personale dei diritti e delle aspettative del cittadino, per instillare in lui il docile assoggettamento alla condizione di disagiata pseudo schiavitù all'interno di un sistema economico imposto come unico possibile, in nessun altro modo affrontabile. Il linguaggio, come brillantemente evidenziato nell'articolo, è stato di certo studiato all'uopo: Monti non è uomo da improvvisare parole. Come ho avuto modo di dire precedentemente, Monti è un uomo estremamente intelligente, per questo tanto più pericoloso.


mercoledì 1 febbraio 2012

Scacco matto alla Regina bianca




Abbiamo "mangiato" il cavaliere dal cavallo nero solo dopo esserci fatti sconquassare le fila, perdendo diversi pezzi. Il Re bianco riorganizza il gioco, per la controffensiva, schierando il suo primo alfiere. I pedoni sono quasi tutti compatti, meno uno... . A qualcuno non torna la strategia:


In dicembre, all'indomani della nomina a premier di Mario Monti, ero presente in Piazza del Popolo in Roma, per la manifestazione di protesta alle scelte appena calate giù dal bianco Re. Inizialmente mi ha sorpreso la composizione delle compagini presenti, molto meno il numero esiguo dei partecipanti. Erano rappresentanze di agricoltori, arrivati con tanto di trattore. Erano piccoli movimenti civili. Erano un gruppo di ragazzi al di fuori delle logiche del sistema. Nessun partito, nessun volto noto. C'era un Generale dei Carabinieri, dalla lunga militanza nei sindacati, che urlava, come gli altri, l'allerta: "attenzione, il gioco è truccato!; attenzione agli schieramenti in campo, non sono quello che credete siano!"

Volevo vedere in volto l'Italia che ha mangiato la foglia, tastare il polso allo stato di coscienza... Perché gli agricoltori? Perché sono quella parte del paese più lontana dalla logica capitalistica del nero neoliberismo. Loro, insieme ai pescatori:

Chi tocca con mano la terra ed il mare è colui che ha in sé i valori primari, incontaminati dalle logiche artefatte di un mondo globalizzato al pensiero unico, un mondo schiavo dell'economia oligarchica di uomini dall'anima come la pece. La cultura dell'uomo contadino non è universitaria di indirizzo tecnico-classico-moderno, ma ha avuto il supremo insegnamento alla fonte del sapere dalla natura: il campanello d'allarme è suonato per loro molto prima, avendo avuto la possibilità di vivere direttamente, sulla pelle, l'assurdità di un sistema artificiale. Il campanello è suonato tanto tempo prima di quello di chi, da quella fonte naturale, si è allontanato, rinchiuso nel comfort della propria casa riscaldata dalla televisione. Per alcuni il batacchio è stato sottratto per sempre: il loro sistema di allarme non li avvertirà mai più.

Pasolini, ancora una volta ha avuto ragione: la speranza risiede nel ritorno ad una civiltà vicina ai valori contadini: i più puri di cui ci possiamo dotare. E la speranza risiede poi nei pensatori, nei filosofi, nei poeti... proprio come Pasolini, che coltivano nel loro animo la sensibilità di quella cultura e se ne fanno portatori, distribuendola alla popolazione, dialogando con la popolazione, portando a compimento il loro più nobile e ultimo fine, anche dopo la morte.


Piazza del Popolo vuota, di quel freddo giorno dicembrino, è stata l'amara metafora di un popolo che se ne è rimasto incosciente nelle case a bersi le regole del gioco che gli venivano calate dall'alto: e così il (loro) gioco continua... :

Sì, perché la torre bianca (il PD) è in realtà il secondo cavallo nero (di Troia) infilato tra le nostre compagini, e schiere di pedoni bianchi si battono il petto per la bontà della sua posizione nello scacchiere, non accorgendosi dei suoi insoliti spostamenti ad "L", andando così esposti alle avanguardie dei pedoni e alfieri neri, che li dividono, li isolano, infine li mangiano senza possibilità di contromossa, inutilmente "difesi" dal pernicioso fare del primo bianco alfiere.



La partita si complica ad ogni passaggio, ed il pedone bianco, quell'unico pedone bianco grida: "la partita è truccata!!" Inascoltato... "Il cavaliere nero è stato sacrificato al solo scopo di portarci sotto scacco!" Ma i suoi non l'ascoltano, e cade l'altra bianca torre (i diritti dei lavoratori), altri pedoni si perdono sul campo insieme al secondo alfiere (le nostre risorse nazionali). Il giocatore nero ha buon gioco e ci depreda un pezzo dopo l'altro.


Ma noi abbiamo "cortine" fumogene negli occhi, litighiamo l'un l'altro, ci guardiamo con fare sospettoso. Certo, l'evasione è un problema, ma il tema non può essere affrontato in modo semplicistico! Bisogna ragionare, bisogna chiedersi come mai non possiamo scalare qualsiasi nostro acquisto e a chi conviene mantenere questo sistema... Soprattutto, perché viene posta ora la questione?? Ma no, la nebbia ci toglie la vista con falsi problemi, con realtà minori: e ci distrae, ci confonde, ci separa, ci allontana dalle persone amate... e tutto questo mentre la nave viene condotta consapevolmente contro gli scogli... Mentre si scava un traforo di violenza nelle nostre anime...


Bisogna buttare all'aria la scacchiera, ma da solo non può nulla, povero piccolo pedone bianco. Non può nemmeno invocare il suo Re, perché ha tradito, come la torre, come il primo alfiere: tutti figli neri sotto le spoglie di un sottile smalto bianco: tutti provenienti dalla stessa Troia.


A due mosse dalla fine della partita, il meschino grida la sua verità, la sua disperazione: "non c'è più nulla da fare, la Regina è persa!!!"


A chi è giunta la sua voce e non ha creduto, a chi ascoltando ci ha messo anche il solo beneficio del dubbio senza aver agito... a loro giungerà, infine, troppo tardi, la comprensione:

La Regina è la nostra sovranità, il nostro Paese...


Scacco matto alla Regina bianca...





(Il gioco - Umberto Verdirosi)





P.S.: Il movimento ad "L" nello scacchiere è proprio del cavallo (in questo caso quanto mai di Troia): questo a beneficio di chi non conosca i movimenti dei pezzi nel gioco degli scacchi. Qualcuno ha insinuato pensare che dietro il primo alfiere bianco si celasse l'attuale premier Monti: rispondo dicendo che trattasi di illazioni che non confermo né smentisco. Ognuno, in questo gioco, può attribuire un personaggio o dei valori ad ogni pezzo della scacchiera: il risultato non cambia.


P.S.2: Ho utilizzato un quadro del maestro U. Verdirosi (qui il suo sito), in calce all'articolo: l'ho adattato alla mia partita. Ho avuto il piacere di conoscerlo in quel di Orvieto, dove avrete modo di vedere dal vivo le sue opere. Per chi vuole approfondire la tela, ben altra partita è oggetto delle intenzioni dell'autore. Nessuno meglio di lui ve la può illustrare: