C’era una volta… è così che iniziano i racconti di fantasia. Sono giustappunto qui per raccontarvene uno. Questo si chiama: "io so…". Un “io so” pasoliniano...
C’era una volta un governo (governo con la g minuscola, non è un errore) che doveva essere salvato. Salvato per l’ennesima volta: ma questa volta non con il voto di fiducia, quello lo aveva strappato con i soliti metodi il giorno prima. Questa volta doveva essere salvato dalla manifesta delegittimazione del suo popolo.
Ci si apprestava ad una grande manifestazione, grande quanto quella del Popolo Viola del dicembre 2009: almeno 500.000 persone a dir poco. Tutti sapevano, tutti si aspettavano già dai giorni precedenti che il serpentone umano avrebbe deviato il suo percorso per marciare contro il Palazzo: non tutto il corteo lo avrebbe fatto, certo… almeno un quarto. Alcune sigle quale la Fiom, ad esempio, avrebbero continuato per correttezza fino in Piazza San Giovanni, e con lei l’ala più pacifista. E poi, ovviamente, non proprio tutti si aspettavano la deviazione. Quelli che seguono più attentamente le vicende socio-politiche la davano però per scontata, come l'hanno data per scontata i sondaggisti del Palazzo: “il corteo devierà al 98 %”… quel 2% tralasciato è perché non si sa mai. “Non possiamo permetterlo, bisogna intervenire!”
15/10/2011: già dalle ore 1:20 in Piazza della Repubblica i rumori e la folla delle grandi occasioni.
Le persone stazionano fino a Piazza dei Cinquecento. I carri fanno capolino: c’è quello del teatro Valle dal sapore carnevalesco. Siamo in zona preparativi. Le persone sfoggiano fantasia e colori.
Giornalisti anonimi raccolgono impressioni dai partecipanti (si scoprirà poi fossero di Porta a Porta, si capirà quindi l’anonimato). I No Tav sono schierati, Giulietto Chiesa parla ad un microfono sotto le bandiere del suo movimento. L’atmosfera è quella dell’allegria mescolata alla determinazione. La determinazione è quella dettata dall’indignazione: “incazzamento” dico al "microfono anonimo" indossando come un cappello la maschera di Guy Fawkes…
In Italia, rispetto agli altri paesi dove grava "semplicemente" una crisi capitalistica mondiale, si aggiunge il veleno e la violenza che giornalmente questo governo instilla alla sua gente: la miscela delle due cose produce una reazione anche ai più passivi e lobotomizzati dei suoi elettori: la televisione ed i giornali del padrone non riescono ad arginare a dovere la situazione… e sì che lo hanno fatto tanto bene per anni. Ora i sondaggi vedono il premier ai minimi storici.
Inizia il corteo, si schierano i movimenti. Non si raggiunge il punto per la svolta al Palazzo che tra la folla cominciano a mescolarsi, in vari punti del camminamento, gruppi di venti e più vestiti di nero, coperti in volto e dai caschi dello stesso colore. Le persone rumoreggiano: i megafoni invitano all’allontanamento dei figuri di cui si intuiscono subito le intenzioni. Cori gli si lanciano contro: “fascisti!” gli si grida, intuendone lo spirito.
E’ tutto inutile: altri di loro prendono felpe, maschere antigas, caschi e l’armamentario da grandi buste di plastica bianca, precedentemente preparate in furgoncini piazzati in luoghi strategici. Entrano in azione devastando tutto quello che incontrano: macchine, vetrine, banche. E’ il caos.
Sono per lo più giovani, pescati qua e là dai movimenti di estrema destra, come lasciano intuire gli stemmi, sigle e i tatuaggi non ben coperti. A capo di ogni squadra di dodici, che agisce militarmente nel perfetto stile della celere, c’è un poliziotto in missione. Sì, un poliziotto, siamo o non siamo in un racconto di fantasia? I colleghi, posti alla vigilanza dell’ordine pubblico in numero insufficiente, non sono al corrente dell’operazione in corso: hanno solo direttive generiche su cosa fare e non fare, e sono oltretutto mal disposti su quello che oramai è diventato un campo di battaglia. Le devastazioni proseguono indisturbate o con il disturbo di qualche manifestante che in qualche occasione ha la peggio: uno prenderà una bottigliata in testa per essersi intromesso. La polizia (quella in divisa) approccia manovre quanto meno strane e spara inutilmente dagli idranti su di un corteo palesemente pacifico che si è schierato apertamente contro i “neri”… i quali proseguono fulmineamente le loro azioni andando a prendere di mira uffici, abitazioni, chiese… Il risultato del comportamento delle forze dell’ordine è l’irritazione del corteo. Qualche testa calda si unirà, a volto coperto, nel clima di guerriglia, riconoscibile per la mise diversamente nera. Saranno questi ultimi che poi verranno offerti all’altare dell’opinione pubblica nazionale nei giorni a seguire.
La manifestazione è oramai saltata, il fuoco e i lacrimogeni sono lo sfondo di un corteo spezzato e confuso: chi pure voleva raggiungere Piazza San Giovanni, in maggioranza, non ci arriverà mai.
Il corteo consegna alle forze dell’ordine cinque persone, poche altre ne fermeranno le guardie. Un poliziotto in divisa raggiunge, caso isolato, un casco nero e lo manganella: questo apre la visiera alterato e gli grida “ma che fai! Sono una guardia, come te!”. Il poliziotto in divisa si arresta stupito.
Il percorso è completamente devastato: un furgone dei carabinieri brucia come prima altre automobili. La luce solare abbandona la scena e con lei il corteo, che devia sì, ma verso altri lidi e in mille rivoli.
Gli ottocento caschi neri (tanti erano) si dissolvono. Le loro azioni, prive di ogni logica politica se non quella della devastazione fine a se stessa, ha impedito la marcia del popolo multicolore verso il Palazzo (questo sì, atto significativamente politico) che all’indomani della fiducia, acquistata dagli Scilipoti, avrebbe psicologicamente presentato la “sfiducia di fatto” del popolo italiano, che si sarebbe accampato in tenda sino a quando Napolitano non avesse sciolto le camere. Il Presidente della Repubblica, pur avendo fatto l'impossibile e consumato diverse stilografiche, in passato, pur di salvare questo governo, non avrebbe potuto tirarsi indietro dal togliergli l'incarico, messo così inesorabilmente con le spalle al muro da una situazione plateale e dalla risonanza internazionale. Missione compiuta dunque. Obiettivo secondario raggiunto era sospendere le manifestazioni in programma nel centro di Roma nell'immediato futuro. Non è riuscito solo il coinvolgimento nella melma del corteo: la macchina del fango fallisce nel mischiare mediaticamente i caschi neri con il popolo dei manifestanti grazie al contributo di mille telecamere.
15/10/2011 ore 21.00 “Mi hanno chiesto se sono indignato… io veramente sono proprio incazzato!!" (Francesco Guccini). Ovazione.
Questa era una favola noir: come è vero che Berlusconi è un buon governante e che noi tutti non siamo in una dittatura mediatica.
Questo deve necessariamente essere un racconto di fantasia che prende solo spunto dalla realtà: perché se così non fosse vorrebbe dire che lo Stato ha tradito il suo popolo...
e se così non fosse si sarebbe esposti a spiacevoli conseguenze, perché vorrebbe dire che "io so"... e questo racconto si potrebbe allora chiamarlo incubo.
Bravo, io non ci sono riuscita sono stata sopraffatta dall'incazzatura... ah fragilità femminile :-)
RispondiEliminaBravissimo Stefano, ma grazie tante! Troppo comodo improvvisarsi scrittori di storie surreali quando si ha un bel paese come l'italietta berlusconmafiovaticana che ti ispira quotidianamente, dove ogni giorno la realtà supera la più stravagante fantasia. Come diceva un grande creatore di storie fantastiche ma non troppo "Ha da passà 'a nuttata...". Stefano Molinari
RispondiEliminaOttima ricostruzione e ottimo inizio per dovute riflessioni.
RispondiEliminaAggiungo il mio Bravissimo, forse poco significante, lo consegno tuttavia al talento del surreale di cui dai prova concreta. Molinari vede nell’Italietta nostra l’ispiratrice di sempre nuove stravaganze. Le facili storielle di quotidiani scandali che si incontrano, di buon accordo, a cadenza del pomeriggio di un sogno popolare. I quotidiani scandali e i loro fattori che si difendono, si uniscono infine, fanno fronte comune. Quale difesa migliore dell’attacco? Non ne conosco, non ne conoscono, pare.
RispondiEliminaIl racconto surreale, il tuo, di un dubbio reality, il deja vu di maniera, dello scontato colpo di teatro, l’uscita dalla scena della protagonista, vinta umiliata dispersa. La libertà. Forse deve passare la notte, io credo passeranno i giorni sui giorni, i giorni che parleranno per dire: nulla di nuovo sul fronte del potere. La mia conclusione amara, non meno la tua.
Tuttavia e come il maestro Pasolini amatissimo dalla sottoscritta dico, io so. Chi sono costoro, io so chi furono i padri della stragi, io so chi sono perché sono una intellettuale e ho capito qualcosa: le rivoluzioni le fanno coloro che hanno idee, mai coloro che imbracciano le armi! Al contrario le armi stanno nelle mani di chi le idee le uccide, le manda fuori dalla scena, umiliate, disperse. Mai vinte!
Isabella Consoli
Ora accetta un piccolo dono. Te lo offro, a me è stato offerto da un poeta, un uomo, un martire. La catena dei giusti non si interrompa.
RispondiEliminaSulla poesia di un uomo, il pianto nuovo e antico di una ribelle venuta dai lontani 70
Un ruggito di dolore e di rabbia si alza sulla città
Nuovo e antico rintrona incessante ossessivo,
spazzando via ogni altro suono,
scandendo la grande menzogna,
un ruggito che non ha nulla di umano.
Infatti non si alza da esseri umani,
creature con due braccia e due gambe,
un pensiero proprio. Si alza da una bestia
mostruosa e senza pensiero, la massa nera,
la piovra che nel pomeriggio romano,
incrostata di pungni, volti distorti, bocche contratte
ha invaso la piazza. Poi allungato i tentacoli
nelle strade adiacenti, intasandole, sommergendole
con l’implacabilità della lava che nel suo straripare
divora ogni ostacolo, assordando con il suo
fragore. Il fragore, quell’acqua di cannella
che goccia monotona sempre uguale a se stessa
martellando rintocchi ossessivi nel silenzio,
si che a forza di udirla ti senti impazzire, invochi
un rumore diverso, uno schianto magari, uno sparo
uno sparo libero, libero che uccida,
tutto fuorchè quell’atroce uniformità,
quel buio violento, quella menzogna pagata
che inzuppa il filo di voce indignata.
Perché questo accadde, il dissolversi
della tua resistenza, il sopraggiungere
della rassegnazione. Non dura molto lo sforzo finale,
a un certo punto la stanchezza di vivere torna,
anima e corpo si allentano nella rassegnazione
che guarda all’indietro, guizzi involontari gli slanci,
gli urli le proteste che non rivolgerai,
lo dice anche la poesia che scrivesti quella notte,
pensieri di un uomo che dall’esilio rimpiange il passato,
il passato essendo l’unico appiglio al quale aggrapparsi,
per risalire ai tempi in cui la solitudine era una cella
senza spazio e senza luce. Il desiderio pazzo di parlare
a qualcuno perché il futuro era una speranza. Eccola,
su quattro figlietti, la calligrafia convulsa alterata,
di verso in verso diventa più convulsa, alterata,
quasi che tenere la penna in mano costasse una fatica
terribile. Come andavano girando nel passato i poeti
e come declamavano le loro viltà, vestite di belle parole
dai racconti battezzati, così andavo girando anch’io
in luoghi sconociuti ma belli al pari dei mostri
e volevo credere che non voltavo le spalle al mondo.
Non viaggio io, parlo a me stesso, per i boschi
i monti le valli. Non viaggio io, sono le campagne
che corrono, la forza del sogno costruisce la speranza
e il dolore l’accompagna ovunque, sempre.
Alberi montagne ballate e io legato a loro che soffrono
perché soffrivo, che piangono perché piangevo.
Per le stesse strade vo camminando, strade
che soltanto chi ha sofferto conosce.
E alla mia vita rimpiango con nostalgia,
se penso in quei giorni del 70 illusori
davamo qualcosa che tutti capivano
e quando penso a quello che so che accade ora,
ora più di allora, senza che gli altri riescano a capirlo,
neanche a intuirlo, dico la mia fine verrà
nel modo in cui vogliono coloro che hanno il potere.
Socrate dice prima di darsi la morte:
è giunta l’ora di andare,
ciascuno di noi va per la propria strada,
io a morire, voi a vivere.
Che cosa sia meglio, Iddio solo lo sa.
Grazie per l'apprezzamento. Grazie Isabella per il regalo. Osservo i media di questi giorni; l'Italia di questi giorni: ho un moto di sconforto. A tratti vorrei non sapere, non vedere, non parlare. Sono solo momenti.
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