Non parlo dell'artista, di quello lascio parlare chi non può fare o dire altro di lui, io parlo dell'uomo per come l'ho conosciuto...
Se una persona non esce fuori dal suo ruolo, mettendosi in gioco, non puoi dire di conoscerla. In quei momenti hai la possibilità di guardarla negli occhi, leggerne l'anima e soppesarne la purezza delle intenzioni...
Ero assorto con lo sguardo sul palco, non ricordo chi ci fosse sopra, ma al mio fianco c'era il mio amico Carlo Alberto che, per la prima volta, assisteva di persona ad una manifestazione "viola". Viola era nessun colore, e questo gli piaceva, piaceva ad entrambi. Era febbraio di quest'anno: duemiladieci.
Eravamo molti, compatti e con lo sguardo attento agli interventi e alle parole. Le mani erano dolenti per gli applausi. Come ai gatti si abbassa la percezione sonora di quel che c'è intorno quando sono concentrati su qualcosa che ha catturato la loro attenzione, allo stesso modo noi non c'eravamo resi conto del vociare alle nostre spalle di due signori che si stavano facendo strada. "Permesso!", dice una voce appena dietro di me. Mi giro, ci giriamo a guardare. Era un tipo sui 50 sorridente, che rafforzava il concetto mettendomi una mano sulla spalla destra. "Prego", gli dissi. Faceva strada ad un signore più anziano, che lo seguiva a passo deciso appena dietro. Per un attimo incrociai lo sguardo di quell'uomo attempato, canuto, asciutto, che mi sfilava di fianco. I suoi occhi erano timidi forse per il disagio arrecato, ma onesti e determinati per quel che andava facendo. Il suo sorriso accennato sembrava già sapere che al suo passaggio qualcuno avrebbe detto: "L'hai riconosciuto? E' Mario Monicelli! Ha fatto questo e quel film...". E così è stato: ma lui era già lontano, già sopra il palco.
Voleva partecipare, dire qualcosa, incoraggiarci a combattere e tenere duro. Non importava chi fosse, qual era la notorietà acquisita che pure gli aveva permesso di guadagnare il palco. Era uno di noi, tra noi.
Era un uomo libero, tra gli uomini più liberi che abbia mai ascoltato, con una consapevolezza e una saggezza acquisita, forse dall'età, che ci ha raccontato qualcosa di davvero poco banale: non cadere nella trappola della speranza, perché quella è un'invenzione dei padroni.
Da uomo libero, voleva trasmetterci il messaggio che un paese la libertà se la deve prendere senza rimandi, opponendo resistenza e facendo quel che si deve fare per ottenerla, anche una rivoluzione, se necessario. Lo diceva ad un paese, il suo, addormentato nella dittatura di un'oligarchia. Lo diceva ad un paese che amava, che lo faceva soffrire e che deve avergli fatto davvero tanta pena...
Se ne è andato, e lo ha fatto nel suo stile, da uomo libero. Se ne è andato facendoci riflettere su una morte assistita che non c'è e costringe un uomo con un male in fase terminale di 95 anni a suicidarsi per poter esprimere la sua condizione di libertà.
Se ne è andato e ci ha lasciato un ultimo messaggio: una persona libera ha sempre una scelta, anche di fronte alla morte... ed è quella di scegliere come morire.
Ciao, e grazie di tutto.
sono queste le persone che mi fanno sentire orgoglioso di essere italiano
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